U n carillon/madre suona attraverso il corpo abnorme di una bambola pop-fetish che gira su stessa, stivaloni di pelle e gonna gabbia. Intorno tanti piccoli carillon come satelliti o figli non cresciuti, in ogni caso musica di un’infanzia perduta, territorio in cui tutto si contamina: candore e perversione, innocenza e malizia, desiderio e colpa. La ninna nanna della coscienza che si intorpidisce prima di abbandonarsi al buio in un respiro profondo. Quel suono ancestrale è una porta della memoria, all‘improvviso ci risveglia dal grande sonno esistenziale della contemporaneità in cui tutto si subisce e si consuma.