Un carillon/madre suona attraverso il
corpo abnorme di una bambola pop-fetish che gira su stessa, stivaloni
di pelle e gonna gabbia. Intorno tanti piccoli carillon come
satelliti o figli non cresciuti, in ogni caso musica di un’infanzia
perduta, territorio in cui tutto si contamina: candore e perversione,
innocenza e malizia, desiderio e colpa. La ninna nanna della
coscienza che si intorpidisce prima di abbandonarsi al buio in un
respiro profondo. Quel suono ancestrale è una porta della memoria,
all‘improvviso ci risveglia dal grande sonno esistenziale della
contemporaneità in cui tutto si subisce e si consuma.
E così eccomi bambino anch’io,
bambino/adulto pieno di paure, pulsioni represse e peccato originale.
Ecco il serpente, il serpente dell'albero della conoscenza che sibila
la colpa, un pitone sottovetro ha appena ingerito la preda. Tre
serpenti seducenti, inquietanti, uno dietro l‘altro. Serpenti il
cui ventre materno fagocita simulacri del nostro tempo, un teschio
simbolo del memento mori, il pensiero della morte scomparso dentro la
bocca del serpente diventa ancora più prorompente tra le squame
maculate. L’icona salvatrice di una madonna esorcizza la morte, ma
anch’essa è stata ingerita ormai, adesso è santino religioso che
deforma il corpo della bestia, l’ennesima certezza divorata che
presto verrà digerita nello stesso ventre del serpente.
Gatti e conigli tatuati e rivestiti con
accessori in latex che ci spingono oltre la soglia dove perversione e
ironia si saldano in immagini cariche di senso tragico.
Le metamorfosi di un volto (umano?
Animale?), le mutazioni del corpo, sculture sinuose ed inestricabili
di gemelli siamesi in cui il doppio si compenetra nell’unità.
Stupisce di Niba la sua capacità di
flettere una tecnica artigianale e antica come quella della
terracotta in forme che sublimano l’iconografia erotica sadomaso. I
colori luccicanti, la materia morbida che ci invita a penetrarla con
lo sguardo, carne e anima, vittima e carnefice, tutto si riunisce in
un unico corpo, il nostro.
Poi basta alzare gli occhi e sulle
pareti appaiono come ombre esseri sbarcati da un pianeta lontano,
corpi extraumani, astronauti senza volto che si autoalimentano
attraverso tubi e taniche di benzina. Arrivano altri animali, animali
dallo sguardo umano ritratti a tre quarti. E ancora casse toraciche,
cuori, ventricoli, organi. Scenari apocalittici, creature ibride,
case organiche che crescono sopra teste, un mondo nuovo eppure già
malato, in cui l’iconicità del fumetto e le atmosfere kafkiane si
mescolano in universi post atomici.
Figli della mano abile di Chavar,
artista capace di dare forma all’informe attraverso il disegno.
Penne ecoline, matite, acquerelli,
pastelli, silohuette disegnate con pochissime cancellature come
facevano i grandi maestri del disegno, la tradizione contaminata si
trasferisce su questi fogli Fabriano ruvidi, supporti vivi, texture
che vibrano sotto lo sguardo allucinato del visitatore.
L’abilità tecnica di questi due
artisti, Niba e Chavar, mi lascia ogni volta stupefatto. Arte =
technè.
La loro iperespressività, quasi
dolorosa. Niba che mette in scena con ironia il nostro narcisismo e
che attraverso un’iconografia esibizionistica, superficiale, apre
infiniti gate verso le più torbide profondità dell’essere umano.
Chavar che estetizza gli organi interni, che dalle paure più
profonde risale fino al foglio dove non esiste più forza di gravità.
La stessa strada percorsa all’inverso.
In entrambi i casi è forte l’impatto,
l’occhio dell’osservatore è straniato, sconvolto e viene il
sospetto che queste opere siano i resti di un inconscio collettivo
che non può più essere censurato.
Questa mostra è un invito a tirare giù
le maschere. Un viaggio nei luoghi più malmessi e sporchi delle
nostre coscienze. I più veri, probabilmente. Uomo e natura ancora
una volta in contrasto? Chi siamo? La bella o la bestia? Dove finisce
la maschera? Dove comincia il volto? Abbiamo ancora un volto? O siamo
tutti diventati il frutto di un intervento di chirurgia plastica
globalizzata?
Animali malinconici, uomini
deumanizzati. Ventricoli che palpitano bisogno d'amore, amore, amore,
amore, tutto questo bisogno di amore finirà per devastarci, il latex
evoca mostruosità su un cucciolo d‘animale, la nostra mostruosità,
perversioni soffocate dal benpensare, questo non si può, questo non
si fa, guardare ma non toccare, perversioni nascoste, negate,
desideri umiliati da una frusta che schiocca nell’aria
irrespirabile dell‘ipocrisia. Frusta di pelle che entra nella carne
viva dell'immaginario, lacera le certezze costruite a tavolino e ci
ricorda che saremmo ben poca cosa senza dolore.
Il nostro dolore: fisico, mentale,
animale. Dolore dell'anima.
Animus. Anima. Soffio di vita che tutto
coinvolge.
Diffidenza, angoscia, sesso, vergogna,
fragilità, corpo, carne, cuore, sangue, polmoni, cervello, ribrezzo.
La mente ci mente: bugie, repressioni, negazioni. Dimenticare per
vivere.
Anime sole. Anime seviziate dal dolore,
da questo rumore di sottofondo che continua a pulsare e continua,
continua, e non ci lascia più dormire. Topi sotto un riflettore
inesistente, questa rabbia che ci corrode da dentro come un ratto
schizofrenico, rode l'autenticità e il senso delle cose, censura il
desiderio, il piacere, il godimento, la fantasia.
Costretti in una mediocrità
rassicurante tra qualche sparuto lampo di vita, poi la morte,
inevitabile, inesorabile, ogni giorno più vicina.
Siamo atterrati su questo pianeta,
sputati dall'astronave gestazionale, gettati in un mondo in cui non è
possibile stare a proprio agio, non se si cerca di essere veri.
E allora saltiamo in groppa al cervo
alato per sbarcare su altri pianeti, i pianeti dell’arte, dove
scompaiono regole e divieti, dove tutto è libertà, dove non esiste
oppressione e tutto diventa più leggero, la frustrazione, la rabbia,
la vergogna, il senso di colpa.
Siamo nati nudi e sporchi di sangue,
unti dal peccato originale e dal dualismo. Lo strumento perverso
della mente ha creato le sue categorie: il giusto e lo sbagliato, il
buono e il cattivo, il bello e il brutto, il corpo e l'anima.
Abbattiamole.
Questa atavica
paura di vivere si è fatta segno attraverso le mani delicate e
amorevoli di Niba e Chavar. Il mistero siamo noi, ci ricordano queste
opere, si nasconde tra le nostre ferite impossibili da rimarginare.
Solo mettendo il dito dentro la piaga, attraverso un dolore
apparentemente insopportabile precipiteremo dentro noi stessi e
rinasceremo essere umani.
David Miliozzi
David Miliozzi
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