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WIRRWARR / CONFUSIONI SUL ROMANTICISMO PARTE I – IL ROMANZO DI CONNESSIONE

di Lorenzo Manenti

Cosa s’intende per Romanticismo?
E’ una mescolanza tra diverse culture ed altrettanti significati linguistici (il puro latino con l’invasore barbaro e barbuto gotico), o un codice di sempreverde galateo come allegoria di un figlio felice e benevolente della storia umana – chi non lo vorrebbe! – che si relaziona con arte e successo fino al farsi strada nell’ambiente sociale di ogni epoca?



Alla domanda difficile non resta che una risposta illogica in apparenza: aprirsi a due esperienze parallele. Ai barbuti gotici si consiglia di tenersi nella mano destra il romanzo Lucinde di Schlegel1 realizzando una lettura binoculare (quasi impossibile) avendo Signore e Signori d’Italia affianco, di Gabriella Turnaturi; i più volenterosi potrebbero rivolgere l’occhio in questa fantastica operazione a vari titoli come gli ottocenteschi Galateo dello spirito2, Primo e nuovo galateo di Melchiorre Gioia3, o il vecchio Codice delle persone oneste del Gallenga4, il quale insegnava a riconoscere un uomo perbene come socio d’affari o il futuro marito (genero) per una figlia, da considerarsi comunque rinnovatori di un genere letterario che ha radici lontane ed una fioritura ciclica in Europa. 
        L’ultimo o penultimo esemplare degno di rilievo in questo genere è per l’appunto Signore e signori d’Italia, la cui pubblicazione dell’autrice Gabriella Turnaturi segue fatalmente la metafora popolare che “quando si secca la radice materna, i figli cominciano a vivere per evitare la stessa fine”, poiché il modello sociale cui si riferisce è di fatto trattato in questo libro galleggiando tra varie rappresentazioni di pensiero: da un lato, il galateo resta per l’intera lettura una linea necessaria da osservare sullo sfondo di una parete e percorrere quando non si sa come uscirsene da una situazione imbarazzante, ma altrettanto vi è la consapevolezza che gli anni della contestazione 1968-1978 hanno “in apparenza” cancellato il galateo come ideologia; infine si trova nel testo anche un’analisi che concordo a pieno, ossia che il galateo ai tempi odierni vive e sopravvive all’interno di una “società formata”, sia essa un’azienda o un accordo tra parti. Volentieri aggiungerei che il galateo storicamente si è sempre costituito, evoluto ed involuto, all’interno di una società formatasi all’interno di uno spazio-tempo. La domanda conclusiva dell’autrice qui è comprensibile tra le righe, quasi sussurrata: terminata la giornata lavorativa, tolta la maschera, chiuso il cellulare, così come si può chiudere un’esperienza sentimentale (fidanzamento, matrimonio o convivenza), sciogliendo dunque tutti i vincoli dell’educazione, si resta legati alla cortesia, alla civiltà, la “buona educazione”, oppure hanno inizio le scorrettezze, si pronunciano parole volgari ed impensabili? Quindi, ciò che può essere considerato come una pratica razionale, il galateo altresì sarebbe ritornato in questi ultimi anni ad esprimere tutto il suo bagaglio potenziale: il vuoto delle relazioni personali, solitudine e la durata (breve-media-lunga) della socialità, causati proprio dal modello comportamentale odierno5.

Mentre leggevo questo libro della Turnaturi ho avuto una visione iperespressiva, che in sintesi è la soluzione intrinseca della prima domanda sopra esposta. Può sussistere l’idea del galateo in una società pluralistica con tutte le fedi religiose, innumerevoli costumi, colori, etnie ‒ società a cui miravano molti tra i Romantici ‒ dove ognuna di esse si riconosce in questo galateo ed ogni termine di esso è riconosciuto in ogni parte del mondo, che sia in grado di unire l’umanità degli esseri viventi e non di dividere, così come è nei principi del puro Galateo? Immagino di sì, ma esso non potrà essere scritto nel deserto o in una foresta perché dovrà interessare la storia della società e della cultura, come avrebbe affermato qui il grande Le Goff6; in quel caso, per chi predilige cioè la solitudine ispiratrice, sarebbe allora opportuna ed auspicabile la mano autorevole di qualche scrittore extraterrestre come Autore, giacché da esterno saprebbe meglio valutarci tutti con categorie inedite, forse. Oppure la semi-solitudine di Clippy, il vecchio Assistente di Office multilingue (1997-2007) che assumeva svariate figure e forme espressive ogni volta che salvavamo un documento o digitavamo il punto interrogativo della Guida al Word. Ottima altresì è la strada iperaffollata di ogni sorta di popoli per le motivazioni sopra esposte.Guardando al contro-campo invece, secondo il linguaggio audiovisivo, era ben chiaro a Giacomo Leopardi fin dagli esordi che il Romanticismo ed i romantici avrebbero non unito, semmai diviso l’Italia e gli Italiani poiché il poeta romantico finge. Egli finge infatti di adattarsi ai costumi ed alle opinioni nostre, fino alle verità conosciute perché il poeta sarebbe consapevole che il lettore e l’ascoltatore desidera intimamente essere ingannato. E ciò non basta. Ad avviso del Leopardi sarebbe nata prima o dopo una profonda confusione – Wirrwarr ‒ di pensiero perché tra i romantici italiani ed europei vi erano forti diversità7:



I nostri – gli italiani – cantano più che possono la natura e i romantici più che possono l’incivilimento, quelli le cose e le forme e le bellezze eterne e immutabili, e questi le transitorie e mutabili, quelli le opere di Dio e questi le opere degli uomini.

Sul Romanticismo se si esplora la storiografia, che a nostro avviso consiste in una rappresentazione simile ad una serata trascorsa a teatro in cui si ascolterà una farsa, dramma, un’opera dove al termine ognuno avrà una opinione variabile di quel che ha ascoltato e visto e che coinciderà ora con uno, poi con un altro fino a delineare una linea comune seppur variabile fino alla prossima rappresentazione, si scopre che enorme è la differenza all’interno delle stesse opere editoriali dove si dovrebbe dare inizio alla formazione di quella medesima linea comune. Molti conosceranno forse la miscellanea Storia della letteratura italiana a cura di Cecchi – Sapegno. E’ indubbio che sia ancora un punto di riferimento e di partenza per delineare una linea comune, ma ha al suo interno una contraddizione ‒ poco annotata ‒ tra le opinioni di Giovanni Macchia e Giovanni Orioli: il primo tramanda ai lettori l’idea del romantico come un brillante europeo rivoluzionario che coniuga energia e sentimento per distruggere e rifondare “deliziosamente” ogni società in un vortice eterno con deliziose citazioni quali del tipo, “se decade l’uno gode l’altro e viceversa”8. Troppo italiano è il secondo, abbagliato dall’ascolto dei “cantori da caffè” che ricevono il plauso nei pubblici locali nel declamare espressioni in dialetto o poesie aventi soggetti variabili secondo il gusto ed il tempo storico-politico, definendoli eroi nel cogliere ed esprimere sentimenti e rimorsi popolari che nessuno ha il coraggio di manifestare, aprendo infine la porta principale del Romanticismo a Carlo Porta e Giuseppe Gioacchino Belli9. Sarebbe però opportuno aggiungere anche le farse teatrali dialettali in maschera, le improvvisazioni per strada o nelle osterie (canzone-poesia), i “Rinaldi” che declamavano con l’ausilio delle scene disegnate a pastello: il secolo XIX è ricco di esempi da citare.Vi fu anche una sottile ed affilatissima linea critica che ha allineato anche nomi di alto profilo riunitisi intorno alla riflessione di Gina Marchegiani che “il Romanticismo in Italia non è esistito”10, allorché i suoi letterati di punta si sarebbero scoraggiati nel torpore di fronte all’immobilismo chiuso in cui era ripiombata l’Italia nella Restaurazione degli Antichi Regimi, fra le delusioni verso gli Austriaci, nuovi e vecchi sovrani, atenei in cui si riprese a far lezioni in latino, il tutto quasi a presagire un destino da “morto mai nato”, seguendo gli epistolari dei nomi più celebri del tempo da Foscolo, Breme, Anna Porro, Caluso, Borsieri, Pellico, i quali invero hanno avuto anche in Manzoni e Leopardi occasionali o indiretti scambi di vista. Nella lucidità delle varie allusioni, forse senza concordia assoluta di tutti, giunsero alla conclusione nel rintracciare un fantomatico colpevole nella gloriosa grandezza greca e romana del passato: tale atteggiamento era divenuto nei secoli corrosivo secondo il Foscolo e nondimeno a giudizio di Pellico e Manzoni11; il secondo nocciolo di discordia si trovò nella dipendenza della vita sociale e politica dalla vita religiosa, o per così dire dal proprio credo, che per alcuni in passato fu motivo di esaltazione della civiltà, e nel contempo ne avrebbe anche limitato il suo progressivo perfezionamento, scadendo anche qui in una forma di pessimistica rinuncia12. Ed ecco il terzo problema: quanto tempo durò l’epoca del Romanticismo? Poco a nostro avviso - molto secondo altri - e con un processo di interazione e rielaborazione non quantificabile per lunga durata, confuso come una scia della cometa ormai passata.

La storiografia, altrimenti definibile come «confusione di vertenze», ha alimentato per secoli ciò che erano le preoccupazioni espresse in tempo reale da Giacomo Leopardi intorno alla Wirrwarr (confusione, ma spesso viene inteso tradurre col termine di caos o guazzabuglio) che avrebbero creato i romantici col passare degli anni.

1 FRIEDRICH SCHLEGEL, Lucinde, trad. it. a cura di Maria Enrica D’Agostini, Pordenone, Ed. Studio Tesi, 1985.

2 IDA BACCINI, Lo spirito del Galateo o il Galateo dello spirito, Rocca San Casciano, Cappelli, 1904.

3 MELCHIORRE GIOIA, Il primo e il nuovo galateo, Lugano, Tipografia della Svizzera italiana, 1847.

4 GIACINTO GALLENGA, Codice delle persone oneste e civili ossia Galateo per ogni classe di cittadini, Torino, UTET, 1891.

5 GABRIELLA TURNATURI, Signore e signori d’Italia. Una storia delle buone maniere, Milano, Feltrinelli, 2014, pp. 31-51 e 242-258.

6 Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale, a cura di Francesco Maiello, Bari 1983, p. 27.

7 Dialogo di un italiano intorno alla poesia romantica, in LEOPARDI, Poesie e prose, vol. 2, Milano 1988, pp. 347-426, vedi p. 365.

8 GIOVANNI MACCHIA, Origini europee del Romanticismo, in Storia della letteratura italiana. L’Ottocento, diretta da E. Cecchi – N. Sapegno, Torino, Garzanti, 1992 (2 ed.), pp. 447-490; la citazione è a p. 450.

9 GIOVANNI ORIOLI, Teorici e critici romantici, in Storia della letteratura italiana. L’Ottocento, cit. pp. 493-534.

10 MARIO PUPPO, Atteggiamenti e problemi dei primi romantici italiani, in PUPPO, Studi sul Romanticismo, Firenze, Olshki, 1969, p. 65.

11 MARIO PUPPO, Foscolo e i romantici, in PUPPO, Studi sul Romanticismo, Firenze, Olshki, 1969, pp. 8-12.

12 MARIO PUPPO, Atteggiamenti e problemi dei primi romantici italiani, in PUPPO, Studi sul Romanticismo, Firenze, Olshki, 1969, pp. 65-83, in particolare pp. 77-78.
[il saggio completo sulla rivista LE VARIAZIONI CRITICHE n.1, di prossima pubblicazione]

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