Passa ai contenuti principali

DITTICO

di David Miliozzi


Dittico è un dialogo serrato tra due artisti di generazioni diverse: Franko B, le cui opere dalla fine degli anni ’80 ad oggi hanno fatto e continuano a fare la storia dell’arte contemporanea e Michele Carbonari, pittore che con costanza si interroga sul rapporto segno/superfice, scandagliando le abissali profondità del supporto e le sue ineluttabili superficialità.
Franko ci presenta una serie di fogli A2 cuciti con filo di cotone e lana della serie Woof Woof e Carbonari una sorta di mini antologia che arriva fino alle ultimissime produzioni in ferro. Tanti materiali, tanti temi trattati, e un’unica grande domanda sulla contemporaneità, una domanda che ci chiede di fermarci a riflettere sulla sensatezza dei nostri tentativi esistenziali. L’attività di Franko può essere sommariamente divisa in due grandi momenti: il momento della performance, vulcanico, espressivo fino all’esaurimento delle forze, e il momento dell’opera/oggetto, silenzioso e rigenerante; la tela, lo specchio o in questo caso il foglio A2, non sono altro che luoghi di riflessione, di concentrazione, in cui l’artista si ricarica e ritrova il senso del suo stesso fare. In entrambi i momenti la voce interiore dell’artista resta immutata, poco importa se Franko faccia una performance in guantoni o cucia il cotone, in lui il gesto si fa sentimento e pensiero, lucido e coraggioso, i suoi lavori non hanno mai paura di mordere la realtà, che è sempre oscena. Ogni tratto cucito è un tentativo di curare la ferita, la ferita che ogni uomo ha, unica, intima, più o meno profonda, la nostra ferita. Franko sembra volerci ricordare che noi siamo le nostre ferite e allo stesso tempo il tentativo di curarle. Alcuni pezzi sono figurativi, vedi il boy raccolto nel dolore a un angolo del mondo, lo splendido cavallo di profilo, o i ragazzi che ci offrono la loro nudità come affermazione di identità; in altri il lavoro si assottiglia, una casa diventa quattro linee che si intersecano, una testa un cerchio, si avanza per sottrazioni finché i segni si riducono a una linea verticale che rimanda al taglio di Fontana e a concetti intra-spaziali. Questi lavori, anche quelli che premono sull’acceleratore dell’espressività, sono sempre rigorosi, essenziali, eppure basterebbe girarli per scoprire la trama districata e informale che li ha generati. Carbonari ci accoglie con un lavoro di ormai qualche anno fa, un’estasi incisa su ferro, raschiata e annerita, un’estasi sporca e terrena, inchiodata a terra, che chiede al visitatore di salire le scale al suo posto poiché lei, consumata da lussurie barocche non è più in grado di ricongiungersi con l’altissimo. Il percorso artistico si sviluppa al piano superiore dove una massa indistinta di donne con velo avanza; una grande tela nera che attraverso un atto tellurico indaga l’identità umana, fragile e oscura. Solo attraverso sacrifici e dubbi diventa linguaggio pensato, dizionario che domanda il senso delle parole e quindi di noi. Carbonari sembra chiederci dove comincia la nostra umanità e risponderci che proprio nel momento in cui ci si interroga si diventa umani. Al centro della parete campeggia una tela bianca in cui è dipinto un pannello bianco poggiato a una parete, metalinguaggio da cortocircuito che indaga lo spazio e il rapporto tra realtà e finzione. Colpisce di Carbonari la fatale attrazione figurativa, che in modo più o meno velato compare e scompare in ogni lavoro. La tela successiva in cui è dipinta una sedia elegante e quasi angelica, ci ricorda che lo spazio è un insieme di linee/vettori che ci guidano più o meno razionalmente verso direzioni quasi sempre in contraddizione con la nostra volontà. I lavori in ferro concludono il percorso, processi di costruzione dello spazio e spazi attraverso cui si costruiscono immagini. Così il supporto stesso diventa opera e, parafrasando McLuhan, il medium diventa messaggio; il ferro leggerezza, l’essenziale icasticità. Carbonari è un artista post concettuale, apparentemente distante dal fare istintivo di Franko, che a mio avviso è il capostipite degli Iper-espressivi. Ma a ben guardare questi due artisti sono uniti da un romanticismo d’altri tempi, lottano contro il mondo in cui vivono e lo amano da morire, ci interrogano con sorprendente semplicità sulla possibilità di un nuovo modo di fare arte, in cui la sensibilità politica si fa sottile, quasi invisibile, e sguscia via sotto ognuno di questi lavori, sincera e feroce.   David Miliozzi

Commenti

Post popolari in questo blog

Atelier d'artista:MARCO FRANCHINI

di DOMENICO BOCHICCHIO

Silvia CARLOROSI /Cosimo Ortesta: La Rinascita della Parola nell’Attimo Poetico/

L’Ombra di un mondo esterno si avvicina radice che dal ventre e dalla mente cressce nuda fraterna lingua contro l’esperienza del giorno. Le sue costellazioni luminose e fredde sono presaio di amori incerti di fiocchi di neve, bufere incandescenti, e al centro del campo azzurro la pioggia roteando fa notte estiva, quiete e calma, in cui si chiude assonnata e ferita un’altra perfezione. Cosimo Ortesta Serraglio Primaverile (1999). Cosimo Ortesta nasce a Taranto nel 1939 e la sua prima pubblicazione risale al 1977, con il componimento “La passione della biografia” apparso nei Quaderni della Fenice (diretti da Gianni Raboni). Solo un paio di anni più tardi Ortesta darà alle stampe la sua prima raccolta: Il Bagno degli Occhi (1980), seguita da La Nera Costanza (1985) e Nel Progetto di un Feddo Perenne (1988). Come si può notare anche solo dal titolo dell’ultima opera, queste tre raccolte costituiscono un continuum in cui l’autore esplica il prop...

WIRRWARR / CONFUSIONI SUL ROMANTICISMO PARTE I – IL ROMANZO DI CONNESSIONE

di Lorenzo Manenti Cosa s’intende per Romanticismo? E’ una mescolanza tra diverse culture ed altrettanti significati linguistici (il puro latino con l’invasore barbaro e barbuto gotico), o un codice di sempreverde galateo come allegoria di un figlio felice e benevolente della storia umana – chi non lo vorrebbe! – che si relaziona con arte e successo fino al farsi strada nell’ambiente sociale di ogni epoca? Alla domanda difficile non resta che una risposta illogica in apparenza: aprirsi a due esperienze parallele. Ai barbuti gotici si consiglia di tenersi nella mano destra il romanzo Lucinde di Schlegel 1 realizzando una lettura binoculare (quasi impossibile) avendo Signore e Signori d’Italia affianco, di Gabriella Turnaturi; i più volenterosi potrebbero rivolgere l’occhio in questa fantastica operazione a vari titoli come gli ottocenteschi Galateo dello spirito 2 , Primo e nuovo galateo di Melchiorre Gioia 3 , o il vecchio Codice delle persone oneste del Gallenga 4 ...