di Lorenzo Manenti
Dedicato a chi
deve riparare
un bene materiale
a cui è affezionato
Io ho un orsetto, anzi, più precisamente
un orsacchiotto di stoffa. E’ una delle poche cose che possiedo. Ho un’ auto,
due computer portatili, una macchina fotografica professionale, una
fotocopiatrice. La casa dove abito è in affitto. Si può dire che l’orsetto è
l’unica macchina che non possiedo.
L’orsetto in questione ha un nome di
fantasia, Violetto, ed è nella casa della mia famiglia da oltre vent’anni, da
prima della morte di mio padre e del servizio militare di mio fratello ai suoi
18 anni. Per renderlo uno di famiglia gli creai una carta d’identità, allegandoci
una sua foto ed un vecchio libretto di risparmi estinto da mio padre, mentre
una sarta gli cucì un vestito sullo stile di Geronimo Stilton. Ovviamente, come
tutti gli oggetti materiali prende polvere, e la stoffa del viso e del naso si
sono rovinati aprendo squarci nel viso, sul naso, all’altezza della pancia e
sul vestitino. Sicché esattamente nel 1998 ci rivolgemmo ad una signora di
fiducia per un restauro. La suddetta ci consegnò l’orsetto totalmente diverso
dall’originale. Venne a tutti un colpo! Anzitutto non abbiamo versato quanto
dovuto perché lo rovinò, dopodiché mi rivolsi per un soccorso a una ricamatrice
di lenzuola per ottenere un orsetto più o meno simile. Due mesi dopo mi
consegnò un orsetto simile ad un topo nel viso, ma almeno l’altezza e le forme
erano pari all’originale ad un prezzo accettabile. Era il nostro amato Violetto,
ma nella nostra testa non lo era più; lo vedevamo diverso nello sguardo,
sebbene comunque ci affezionammo tutti, persino i nipotini della ricamatrice
che mi propose di acquistarlo per questi bambini se non eravamo soddisfatti.
Per noi non era Violetto, semmai si era
trasformato in un’opera d’arte che ha subito un restauro sbagliato ed un
rifacimento non proprio preciso all’originale. Sì, un’opera d’arte, perché no?
Lo so, non è una marionetta di André Henri Dargelos, non è la bambola tenuta
nella mano destra da quella bambina inquietante ritratta nel quadro di Henry
Roussou – Il candore arcano – né
tantomeno è la notissima “bambola Liotard” del 1744, soggetto del dipinto di
Jean Étienne Liotard o l’automa costruito da Jacques de Vaucanson, che fece
impazzire il protagonista del film di Giuseppe Tornatore (La migliore offerta) scoprendo che era un falso. Ma se l’opera
d’arte è una traduzione delle nostre intuizioni che Benedetto Croce nella sua Estetica ha chiamato espressioni, cioè
intuizione unita all’atto meccanico della produzione, se questa deve essere
frutto di collaborazione tra autore e operai, se tale opera deve suscitare
simpatia in chi la guarda, se essa provoca “pause” nella linea frenetica del
quotidiano, ebbene Violetto è un’opera d’arte. Non volevo per lui un restauro
dove si notassero cuciture, la testa di un materiale diverso dal resto del
corpo: ho sempre preferito una riproduzione fedele all’originale con materiali
nuovi ma simili nel colore. Gli occhi invece sono stati riutilizzati perché
l’anima è sempre nello sguardo; non potevo chiamarlo col suo nome se lo sguardo
fosse cambiato.
Ho cambiato molti appartamenti in
affitto. Violetto ha risentito dell’usura del tempo e come una casa terremotata
purtroppo mostrava nuove crepe nel naso, il colore si era ingiallito con delle
macchie sul vestitino simili a quelle delle perdite d’acqua e umidità sul
soffitto, e non sarebbe bastata una dose di candeggina da spruzzare sulla
parete ammuffita per togliere quella patina giallognola. Forte dell’esperienza
del passato, mi sono rivolto ad un Laboratorio d’arte professionale a Urbino
specializzato in restauri di bambole antiche; certo non potevo rivolgermi ad
Angelo Graf von Courten per mettermi in contatto con la sua Puppenmacherin visto che sono ambedue
defunti e neanche avrei potuto economicamente permettermelo. Prima di
sottoporre l’orsetto al restauro, è stato fotografato al suo stato attuale e
messo a confronto con la foto dell’originale di oltre 30 anni fa. Mi è stata
proposta una linea di abbigliamento per la stoffa da usare nell’assemblaggio ed
il suo abito. Trovammo una stoffa per il corpo di qualità assai superiore alla
sua nonché quella per il vestito, identica e qualitativamente migliore. Il
rifacimento è durato 4 mesi. Violetto oggi è una creazione di un Laboratorio,
così come lo era prima di entrare nella mia famiglia. Somiglia al primo ed al
secondo modello. I materiali usati sono tali che, con cura ed attenzione, possono
farlo durare almeno altri 20 anni. E’ stato un restauro abbastanza costoso,
tuttavia in famiglia siamo rimasti così soddisfatti che intendiamo
commissionare un altro abito per Violetto. In fondo ognuno di noi fa il cambio
di stagione.
Ora, il presente scritto deve servire da
promemoria per una riflessione rigorosa. Ognuno di noi sicuramente sarà
affezionato ad un oggetto di qualsiasi forma e considererà quell’oggetto
un’opera d’arte. Può essere un palazzo, casa, appartamento. Può essere una
bambola più costosa dello stupefacente automa di legno visto nel film La migliore offerta di Giuseppe
Tornatore, costruito da Rob Higgs. Può essere un quadro, una statua, un libro o
un abito. Ho dato in questo articolo un suggerimento per restaurare ciascuno
dei nostri affetti materiali più cari nel momento in cui l’usura del tempo ha
preso il sopravvento sulla visione al nostro sguardo. Quando una cosa è
distrutta in parte, la sua ricostruzione diventa difficile. In questa sede,
ovviamente, non si vuole alludere alla pulitura dei marmi o dei mattoni esterni
o del buco al maglione: intendo precisamente un danno che mette in gioco la
tenuta dell’oggetto restaurato, soprattutto della sua durata nel tempo e la sua
sicurezza. Inoltre l’effetto del «trait d’union» tra il vecchio e il nuovo se è
eccessivamente visibile non è sempre accettabile allo sguardo di chi è
affezionato a quell’oggetto, di qualsiasi cosa si tratti. Se un quadro subisce
un assalto da parte di uno squilibrato e viene squarciato, esso si può riparare
con una ricucitura o incollando le squarciature ad un pezzo di tela dietro ma
occorre “vetrare” (cornice a vetro) la tela. Una statua rotta si può riparare.
La “ricucitura” anche qui resta evidente, inutile negarlo. Esistono persone,
poi, disposte a comprare a qualunque prezzo i frammenti delle statue celebri;
nell’ambiente dei collezionisti c’è persino chi è disposto ad attendere come un
avvoltoio che da qualche parte del mondo una statua celebre e inestimabile vada
in pezzi per acquisirne i cocci rubandoli in proprio o su commissione.
E’ chiaro che le opere d’arte celebri
andranno restaurate in modo professionale laddove sussistano le possibilità,
sperando che l’effetto ottico non sia spiacevole allo sguardo, così come i
palazzi di valore storico devono essere restaurati qualora il recupero sia
possibile, duraturo e in sicurezza. Il mio appello invece è rivolto a chi deve
restaurare un bene materiale a cui si è affezionati, la cui storia affettiva
non rientra nei valori di aste milionarie. Ogni ricostruzione parziale
sommandosi alla parte più o meno intatta-salvabile, potrebbe non piacervi. Al
giorno d’oggi i materiali in commercio possono riprodurre in modo quasi
identico qualsiasi cosa seguendo semplicemente e fedelmente il disegno
originale della prima costruzione, se si è affezionati a quella forma con cui
avete ed abbiamo vissuto nell’affetto di ogni giorno. E sarà necessario anche
accettare il prodotto finito come se fosse una vostra e nostra espressione,
ossia una intuizione unita alla costruzione materiale.
A buon rendere!
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