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OLTRE I CONFINI DELLA REALTA'

   Compito dello scrittore è trovare le parole e io sono davanti a questo foglio bianco a cercare la parola giusta che dia un nome ai lavori di Gianfranco Pasquali. Sculture non basta, è un termine troppo legato alla tradizione e Pasquali, pur essendo un artista che conosce profondamente la tradizione, non può essere definito scultore perché i suoi lavori oltrepassano la scultura, sono metamorfosi che si autoalimentano nell’istante in cui le guardiamo; basta voltarsi e loro diventano qualcos’altro, si muovono su se stesse e continuano a diventare altro per tutto il tempo che restiamo a guardarle. Un’iconografia senza passato, un mondo nuovo che solo gli artisti visionari sanno creare.
Oggetti raffinati, sinuosi, rinascite biotecnologiche che ci minacciano con tutta la loro inquietante bellezza. Cosmo/tecno/detriti sputati dallo spazio saturo di satelliti poi ricomposti in assemblaggi perfetti. Scarti carichi di bellezza, una bellezza extraterrestre, che per contrasto ci ricorda certe brutture del pianeta Terra, sempre più logorato da rifiuti non smaltiti, violenze, volgarità. Reperti misteriosi di una civiltà entrata accidentalmente in contatto con la nostra. Mutazioni transgeniche di una natura in eterna lotta contro se stessa.
Colpisce la scrupolosità, la perfezione del dettaglio, i giochi di luce che vibrano dentro questi oggetti. Colpisce la sensibilità con cui compone questi lavori stupefacenti, testimonianza di un altrove che è qui a ricordarci cosa siamo diventati. E’ evidente il suo trascorso di restauratore: Gianfranco Pasquali ha il tocco sensibile di chi sta salvando qualcosa. D’altronde il restauratore è colui che cura gli oggetti malati, feriti dal tempo. Un artista che conosce l’anima dei materiali, abituato a lavorarli con paziente umanità e impareggiabile sapienza. Sembra di vederle le sue mani che accarezzano delicatamente la materia per dargli forma. La plastica impreziosita diventa vetro di Murano, il legno marmo ricco di venature, il metallo in realtà è cartoncino laccato. Pasquali si diverte a giocare con la falsificazione, ci interroga sul rapporto tra realtà e finzione. Intanto quei tubicini serpentinati continuano a trasportare linfa vitale, eleganti flebo rococò che danno vita all’opera.
E così basta una rampa di scale e mi trovo immerso in un’altra galassia in cui troneggiano reperti archeologici del futuro. Uno degli infiniti e sconosciuti luoghi dell’universo, certamente un luogo esistente, testimoniato da questi oggetti luminosi che proiettano sulle pareti le loro ombre fantascientifiche. Qui sembra non esserci forza di gravità, mi avvicino a piccoli passi ai piedistalli, galleggiando. Tutto ruota su se stesso in una lenta vorticosità, una contaminazione trasparente e dinamica che all’improvviso rende il mio sguardo allucinato, come se questi oggetti fossero frammenti censurati del mio inconscio.
“A cosa serviranno?” mi chiede Pasquali, indicando un suo lavoro.
Resto in silenzio. Queste opere rendono il mondo più bello, mi viene da pensare. Ci interrogano su cosa significa rappresentare. Si soffermano sul sempre più ambiguo rapporto tra reale e fittizio, passato e futuro, materiale e immateriale, visibile e invisibile, umano e inumano. Queste opere vanno godute, esteticamente, con sguardo attento al dettaglio, perché è sul dettaglio che si gioca la partita dell’arte di Pasquali. Queste opere vanno studiate in tutta la loro sublime raffinatezza, perché anche grazie a loro apriremo gli occhi di fronte agli inganni di questa società che tanto promette e poi tradisce.

David Miliozzi





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