Questa mostra è prima di tutto una
festa: con queste 50 opere si vogliono festeggiare i 50 anni di Cagliostro e
celebrare l’anniversario dei 50 anni dalla morte di Ligabue. Cagliostro omaggia
Ligabue e lo fa con la solita vulcanica spontaneità, due pittori primitivi il
cui lavoro trasuda espressività e sentimento. 50 è il numero magico di questa
esposizione, cabala di un vero e proprio processo alchemico.
In queste 50 tele,
il cui formato non a caso è 50per50, Cagliostro trasforma ogni pennellata in
vita, vita che genera vita, si sente il respiro delle creature dipinte che ci
osservano curiose, figure misteriose che vivono in bilico sulla superficie, uno
scorpione con la coda tesa, un riccio appuntito e sornione, animali notturni nascosti
nel bosco della nostra immaginazione. Queste opere ci ricordano che l’arte non
deve essere originale, semmai originaria, nel senso che compito dell’artista
non è stupire a tutti i costi ma andare a fondo della memoria e dell’esigenza
di esprimersi, riportare a galla le pulsioni dimenticate del nostro animo naif,
risvegliare le nostre coscienze sempre più sopite e anestetizzate dalla noia e
dalla routine. Ecco: i quadri di Cagliostro ci ricordano di essere vivi, che ognuno
di noi è un essere unico; i segni e i colori impressi con tocchi di pennello
decisi e vivaci risvegliano lo sguardo dell’osservatore e dalla retina mandano
impulsi sia al cervello che al cuore. Gli sfondi a tinta unica (giallo, ocra,
rosso, verde, viola…) sono il ring in cui il pittore mette in scena la sua inesauribile
fantasia. Questa pittura colpisce per l’immediatezza, è una bomba che esplode
dentro lo sguardo rigenerandolo. Finché, all’improvviso, si ritorna bambini. Non
dimentichiamoci che dietro la creazione c’è sempre l’istinto, siamo animali
anche noi, proprio come quelli dipinti da Cagliostro, che al minimo rumore
scattano rapidi come le sue pennellate. Sembra di sentirlo il raptus creativo
che muove questi lavori, l’ispirazione che rende le pennellate così veloci e
sicure. Ho conosciuto Cagliostro qualche
tempo fa. Sono andato a trovarlo ad Urbisaglia e abbiamo subito cominciato a parlare con grande slancio. E’ un
uomo spontaneo come la sua pittura, mi ha raccontato della sua necessità di
dipingere, delle belle sensazioni vissute grazie all’arte, ci ha tenuto a
precisare di non essere un uomo di cultura ma solo un pittore che sta bene
dipingendo. Ebbene a un certo punto osservando le sue tele disposte lungo il
tavolo ho cominciato a riflettere su Ligabue, Dubuffet, Scipione, Licini,
Cucchi e mi sono detto che il bisogno di fare arte è istintivo, mica culturale,
nel senso che l’arte supera la cultura perché la trascende. Per dirla con
Cassirer, siamo animali simbolici che diventano esseri umani nel momento in cui
creiamo simboli. Mi è venuto anche da pensare che in fondo l’arte è una fiamma
accesa dentro la coscienza dell’uomo; questa fiamma può essere un fuoco che
avvampa o un lumicino che ci fa strada nella storia, poco importa, l’importante
è che non si spenga e che ci accompagni per tutto il viaggio della nostra vita.
Dall’uomo preistorico che faceva graffiti nelle caverne all’artista
contemporaneo, fino a un lontano futuro che possiamo soltanto immaginare. Il
filo dell’arte non si spezza mai, ce lo dimostrano le opere che abbiamo oggi
davanti agli occhi. Potrebbe capitare che, osservando con attenzione le tele di
Cagliostro, dopo poco meno di cinque secoli ci si trovi davanti allo stesso
identico gatto dell’Annunciazione di Lorenzo Lotto e magari proveremo una strana
sensazione di stupore e familiarità. Quel gatto è l’ennesima prova che la
fiamma dell’arte è ancora accesa, c’è solo da sperare che questa fiamma continui
a fare un po’ di luce sulla complessità della nostra sempre più fragile
esistenza.
Commenti
Posta un commento